
Pensaci. Nella grazia il giudizio non fa paura |
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Migliaia di anni prima della morte di Cristo, scriveva il salmista: “Giudica me, O Signore” (Salmo 7:8). In molte nazioni dominate da un governo autoritario, i tribunali sono considerati esclusivamente come strumenti punitivi; ma nei paesi democratici, le persone si affidano spesso ai giudici per ottenere giustizia e riconoscimento dei propri diritti. Davide aveva fiducia che il giudizio di Dio nei suoi confronti si concludesse con la sua giustificazione. Nel libro dell’Apocalisse, Giovanni parla del grido dei martiri che hanno sofferto per Gesù durante le persecuzioni del medioevo. “Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?” (Apocalisse 6:10). Avere Gesù come avvocato significa non avere nulla da temere, poiché l’Antico dei Giorni pronuncerà il giudiz io in favore dei santi dell’Altissimo (Daniele 7:22). Il processo di salvezza del nostro mondo non si è esaurito al Golgota. Non possiamo godere appieno della salvezza mentre il mondo patisce le conseguenze del peccato e il suo autore è ancora vivo. Daniele afferma con chiarezza che i santi dell’Altissimo riceveranno il regno solo dopo il giudizio che precede l’avvento. Il giudizio rappresenta una buona notizia perché non si concentra solo sull’individuo, ma dà importanza anche alla comunità dei credenti. La salvezza ci è offerta singolarmente, ma non saremo salvati da soli. Il regno di Dio è la casa di tutti i salvati e un luogo nel quale tutti potranno godere l’eterna comunione con Dio e con i fratelli.
Le persone dichiarano spesso di aver bisogno di Gesù, non delle dottrine. È vero che un codice di aride attestazioni filosofiche non può rispondere alle nostre esigenze quotidiane. È altrettanto vero però che non possiamo avere una comunione con Dio senza la Bibbia. Gesù disse: “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me” (Giovanni 5:39). Ogni brano della Scrittura ci parla del carattere santo e amorevole del nostro Salvatore; ogni versetto ci svela il piano della salvezza. Per capire il Vangelo, non abbiamo bisogno di studiare libri di teologia o di dottrine, basta studiare diligentemente la Parola di Dio. |
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Pensaci. La Grazia e il problema del peccato |
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Il peccato di Adamo ed Eva non solo separò l’umanità da Dio ma ruppe quell’unione stretta che egli aveva creato. Il gran conflitto causato dalla loro li separò dal Signore e la loro natura nel suo complesso diventò corrotta. Tutti i loro discendenti nati da quel momento in poi hanno ereditato le conseguenze del peccato: la separazione da Dio. Ogni essere umano è venuto al mondo avendo come centro se stesso e non il Signore. Il punto di partenza di ogni malvagità è una vita separata da Dio, nella quale domina l’ego e non chi ci ha creati. Il peccato ha pervertito e reso disorganizzata la natura dell’uomo, portando con sé non solo la malattia e la schiavitù ma anche la condanna e il giudizio divino.
Dio scelse di risolvere il problema del peccato senza fare ricorso alla forza, ma servendosi dell’amore, donando se stesso nella persona del proprio unigenito Figlio per redimere l’umanità. La croce è diventata un simbolo dell’opera redentivi di Cristo. Essa si staglia avvizzita contro il cielo, con le due estremità orizzontali che si stendono in direzioni opposte, una che si protende simbolicamente verso l’eternità passata, l’altra verso l’eternità futura. La croce abbraccia l’intero percorso della storia della salvezza, dalla comparsa del peccato alla sua definitiva estirpazione.
La redenzione ha tre obiettivi principali: il primo è quello di riportare l’umanità in comunione con Dio e di rimodellarla a sua immagine; il secondo è quello di annientare il peccato che ha spezzato l’unione e l’unità nell’universo; l’ultimo obiettivo è quello di ribadire la bontà del carattere divino di fronte all’universo.
La morte del Figlio di Dio è la verità centrale e fondamentale del piano della redenzione. La croce ha non soltanto offerto a ogni uomo la possibilità della redenzione, ma ha anche reso possibile la distruzione della forza del peccato. I peccatori perdonati hanno guadagnato una nuovo status (Romani 8:16,17), una nuova vita (Ebrei 10:10) e la vita eterna (Giovanni 3:15,16; Rb 9:28). Per questi motivi Ellen G. White ha scritto: “La storia della chiesa sulla terra e la chiesa redenta in cielo ruotano entrambe intorno alla croce del Calvario”. |
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Migliaia di anni prima della morte di Cristo, scriveva il salmista: “Giudica me, O Signore” (Salmo 7:8). In molte nazioni dominate da un governo autoritario, i tribunali sono considerati esclusivamente come strumenti punitivi; ma nei paesi democratici, le persone si affidano spesso ai giudici per ottenere giustizia e riconoscimento dei propri diritti. Davide aveva fiducia che il giudizio di Dio nei suoi confronti si concludesse con la sua giustificazione. Nel libro dell’Apocalisse, Giovanni parla del grido dei martiri che hanno sofferto per Gesù durante le persecuzioni del medioevo. “Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?” (Apocalisse 6:10). Avere Gesù come avvocato significa non avere nulla da temere, poiché l’Antico dei Giorni pronuncerà il giudiz io in favore dei santi dell’Altissimo (Daniele 7:22). Il processo di salvezza del nostro mondo non si è esaurito al Golgota. Non possiamo godere appieno della salvezza mentre il mondo patisce le conseguenze del peccato e il suo autore è ancora vivo. Daniele afferma con chiarezza che i santi dell’Altissimo riceveranno il regno solo dopo il giudizio che precede l’avvento. Il giudizio rappresenta una buona notizia perché non si concentra solo sull’individuo, ma dà importanza anche alla comunità dei credenti. La salvezza ci è offerta singolarmente, ma non saremo salvati da soli. Il regno di Dio è la casa di tutti i salvati e un luogo nel quale tutti potranno godere l’eterna comunione con Dio e con i fratelli.
Le persone dichiarano spesso di aver bisogno di Gesù, non delle dottrine. È vero che un codice di aride attestazioni filosofiche non può rispondere alle nostre esigenze quotidiane. È altrettanto vero però che non possiamo avere una comunione con Dio senza la Bibbia. Gesù disse: “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me” (Giovanni 5:39). Ogni brano della Scrittura ci parla del carattere santo e amorevole del nostro Salvatore; ogni versetto ci svela il piano della salvezza. Per capire il Vangelo, non abbiamo bisogno di studiare libri di teologia o di dottrine, basta studiare diligentemente la Parola di Dio.
Pensaci. Nella Grazia, soffro anch’io quando soffri tu |
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“Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo” (Galati 6:2).
Il dolore causato dalla sofferenza degli altri ha un impatto sui credenti. Il libro delle Lamentazioni è il resoconto di un testimone che vide la disperazione che accompagnò la caduta di Gerusalemme. Era un’angoscia di vaste proporzioni, il popolo di Giuda era stato catturato e fatto schiavo. Le donne erano state stuprate e i bambini morivano di fame. In ogni angolo si vedevano rovina e distruzione, paura e incertezza; i superstiti erano perplessi e non trovavano alcuna consolazione. Le Lamentazioni colgono questo sentimento e descrivono il caos che si era impossessato di una società ribelle. Geremia trovò difficile rappresentare lo scenario. “Il suo cuore era tormentato dall’angoscia che provava per la malvagità del popolo”, scrive Ellen G. White nel libro “Profeti e Re”. Da un punto di vista emotivo, Geremia era probabilmente abbattuto. Il dolore degli altri esseri uma ni penetra il cuore del cristiano che soffre quando gli altri soffrono. Soffro anch’io quando tu stai male. Gesù ci ha lasciato un bellissimo esempio di come dare assistenza a chi ne ha bisogno: “Il nostro Salvatore andava di casa in casa, guariva i malati, dava conforto a chi era in lutto, consolava gli afflitti, parlava di pace agli inconsolabili. Prendeva tra le braccia i piccoli fanciulli e li benediva, e pronunciava parole di speranza e incoraggiamento alle madri scoraggiate. Egli andò incontro a ogni tipo di afflizione e di sventura umana, con cortesia e ineguagliabile tenerezza”, spiega Ellen G. White, nel suo libro “Gospel Workers”. I cristiani hanno la responsabilità di prendersi cura e di portare i pesi gli uni degli altri. Il massacro della chiesa di St. James, a Città del Capo nel 1993, divenne un’occasione per rendere più compatta la famiglia della chiesa. Il pastore Frank Retief programm&ogr ave; una serie di sermoni dal titolo “La strada per la guarigione” e la comunità diede inizio a un processo di riabilitazione e di cura dei cuori feriti. Vittime, famiglie e membri di chiesa godettero del sostegno di psicologi, di aiuti economici, assistenza ai funerali e tanto amore. La sofferenza può avere un grande ruolo nel nostro ministero per gli altri. Non dobbiamo formulare scuse del tipo “non so cosa dire”, se avete perso qualcuno, se siete malati, se avete perso i vostri averi o il vostro matrimonio è in crisi, se avete difficoltà con gli esami scolastici, esistono i presupposti perché possiate aiutare qualcun altro. Le persone che soffrono hanno voglia di qualcosa di meglio, talvolta di un sorriso. I cristiani sono chiamati a condividere con gli altri la loro speranza in Gesù Cristo.
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Pensaci. La grazia e la vittoria sul peccato |
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La domanda a cui prestare maggiore attenzione è la seguente: “Come posso intrattenere una relazione con Dio in modo tale da vivere una vita leale con la sua volontà?”. Gesù stesso ci ha dato la risposta: “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15:4,5).
La relazione che esiste tra la vite e i tralci è la chiave per raggiungere l’obiettivo di portare frutto, e il frutto a cui ci si riferisce è una personalità leale con Dio, un carattere che gli somigli. Questo è il frutto dello Spirito. Paolo lo identificò con “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22).
La Bibbia insegna che la grazia viene da Dio, in modo completo e gratuito. Nell’ambito di tale esperienza, Dio ci dona lo Spirito Santo che, operando dentro di noi, ci purifica e consente di portare frutto. L’azione della grazia trasformatrice continua in noi finché vivremo; tramite essa diverremo sempre più simili a Gesù. I grandi santi le cui vite sono riportate nella Scrittura, non hanno mai preteso di essere diventati senza peccato; ma hanno affermato e predicato che in Cristo si ottiene la vittoria sul peccato. Paolo dice: “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù” (Filippesi 3:12). Possiamo essere vittoriosi contro il peccato, ma ciò può avvenire solo in Cristo Gesù, nostro Salvatore. Perciò la pre ghiera quotidiana di ogni figlio di Dio sarà: “Signore, riempimi di grazia, oggi. Di quella grazia che mi è necessaria per vivere una vita vittoriosa e per continuare a camminare accanto a te”.
Pensaci. Crescere nella grazia |
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Il past. Pardon Mwansa, vice presidente della Chiesa avventista mondiale racconta: “In occasione di un congresso, nel 1982, avevo appena predicato sulla parabola del seminatore interpretando la storia e rivolgendo un appello all’assemblea perché il sermone non somigliasse a semi che cadono tra le spine o sono soffocati da ‘impegni mondani e l’inganno delle ricchezze’ (Matteo 13:22). Una donna, dopo avere ascoltato, era stata toccata dallo Spirito e aveva scritto un appunto che i diaconi mi avevano portato. Diceva così: ‘Pastore, amo il Signore, ma non riesco a ubbidirgli tutte le volte. Spesso mi impegno a vivere per lui, specialmente dopo aver ascoltato messaggi di incoraggiamento, ma nel giro di pochi giorni, mi ritrovo a fare le cose che so di non dover fare. Pastore, è normale la mia esperienza? Quando potrò smettere di peccare? Come posso obbedire sempre a Dio? Come posso crescere in una relazione di piena ubbidienza al Signore? Per favore, mi aiuti’”.
Le parole dell’apostolo Paolo possono aiutarci a trovare una risposta alle domande di questa donna: “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche afferrato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:12-14).
Da questo brano del Nuovo Testamento possiamo chiaramente capire che Paolo non affermava di essere perfetto né di aver cessato di peccare, ma dichiarava di voler crescere nella direzione del cielo. Quando pecchiamo, ci è consigliato di “confessare i nostri peccati” e Dio “è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9). Cristo Gesù è la nostra speranza quando dobbiamo confrontarci con la natura peccaminosa di cui siamo fatti. Egli ci darà la vittoria, è questa la conclusione dell’apostolo Paolo (cfr. Romani 7:14-23).
La presenza di Gesù, per mezzo dello Spirito che dimora in noi, è la nostra sola speranza di vittoria contro il peccato. |
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Pensaci. Pasqua e santa Cena |
a Pasqua (in ebraico Pesah) significa passaggio ed è una festa primaverile che ricorre, secondo l’indicazione biblica, il 15 di Nisan dopo un digiuno di sette giorni in Israele, e otto nella diaspora. La festa ricorda l’esodo dall’Egitto (Esodo 34:25). Era chiamata in due modi: hag ha-Pesah (festa di Pasqua) perché Dio passò e protesse le case dei figli d’Israele (Esodo 12:23); e hag ha-Mazzot (festa degli Azzimi) perché non si mangiava pane senza lievito (Esodo 23:15; Levitico 23:6; Deuteronomio 16:16). La sera del 14 di Nisan veniva immolato l’agnello pasquale, arrostito per intero e consumato in famiglia. Il seder (ordine) della Pasqua è basato sulla responsabilità dei genitori nel trasmettere ai propri figli le ragioni della festa: “In quel giorno tu spiegherai questo a tuo figlio, dicendo: ‘Si fa così a motivo di quello che il Signore fece per me quando uscii dall’Egitto’” (Esodo 13:8).
Nel suo significato sociale, indica un cambiamento da una condizione a un’altra. Dalla schiavitù implicante una dipendenza totalitaria, quella egiziana, alla liberazione. Nel suo significato psicologico, indica un cambiamento di mentalità, del modo di pensare in rapporto a Dio, a se stessi, al prossimo e alla vita in generale. Pasqua è dunque un “passare oltre” o un “andare oltre” la visione che si ha di se stessi, del prossimo e della vita. Liberarsi dai tabù, dagli handicap psicologici e librarsi verso una nuova vita. Pasqua è un risorgere a nuova vita.
Nel suo significato spirituale, indica un cambiamento religioso, un passaggio implicante un atto di adorazione rivolto a Dio. Pasqua è trascendere se stesso e dare un senso alla vita a partire da Cristo il risorto. Tutti questi aspetti legati alla Pasqua li troviamo nel rito della santa Cena, perché secondo l’apostolo Paolo “la nostra Pasqua è Cristo (1 Corinzi 5:7-8).
Nella medesima lettera l’apostolo scrive che, celebrando la santa Cena, il credente rievoca da una parte l’esperienza della salvezza, cioè un richiamo a un fatto storico, salvifico, liberatorio e cruento: la morte di Cristo. Dall’altra, volge lo sguardo verso il futuro: la beata speranza del ritorno di Cristo (Matteo 26:29). Paolo conclude il suo riassunto della Cena del Signore con l'affermazione: "Perché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1 Corinzi 11:26; cfr. vv 23-27).
La Cena del Signore ci ricorda la gioia della comunione personale con Cristo che ci attende quando il regno di Dio sarà pienamente stabilito. Esso intensifica il nostro desiderio di vivere questa esperienza. Risveglia anche il senso di dipendenza da Gesù qui e ora. Il simbolismo del servizio di comunione fa pensare al fatto che dipendiamo da Cristo, per la vita spirituale, così come dipendiamo dal cibo e dalla bevanda, per quella fisica. Mangiare e bere durante la Cena del Signore, ci rende vivamente coscienti di ciò. Ci aiuta a comprendere l'importanza di un rapporto profondo e costante con Gesù. |
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La grazia e la nuova nascita |
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La Scrittura presenta la vita di un credente come una “nuova nascita”. Gesù comunicò a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio” (Giovanni 3:3). La nascita di qualsiasi cosa implica sempre un nuovo inizio: la parola greca tradotta con “nascere di nuovo” in questo passo vuol dire essere nati, essere generati, essere concepiti dall’alto. Questo implica che la nascita cristiana sia un nuovo inizio, che non può fondarsi sul vecchio uomo. Ellen G. White scrive: “La vita cristiana non è una modificazione o un miglioramento della vita precedente, ma ne è una trasformazione radicale. Vi deve essere una morte al peccato e una vita completamente nuova”. Questa nuova nascita viene da Dio; non c’è altro mezzo per dare origine alla realt à celeste. Un tale cambiamento può essere prodotto solo dallo Spirito Santo. Non dobbiamo pensare di poter aggiustare il vecchio edificio, dobbiamo ripartire dalle fondamenta. Questo richiede una natura del tutto nuova, che provenga da principi e sentimenti divini. La nuova nascita nello Spirito di cui si parla in questo passo è un’esperienza reale e concreta. Lo afferma la Scrittura: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Corinzi 5:17). In Zaccaria 4: 6 si legge: “È questa la parola che il Signore rivolge a Zorobabele: Non per potenza né per forza, ma per lo Spirito mio, dice l’Eterno degli eserciti”. Inoltre, la nuova nascita è un miracolo che non può sempre essere spiegato. Gesù disse a Nicodemo che nessuno può dire da dove soffia il vento, sebbene ne veda gli effetti. La stessa cosa v ale per la nuova nascita: non possiamo spiegare pienamente come avvenga, ma ne possiamo vedere i risultati.
La professione di fede può proclamare la teoria della religione, ma solo la pietà pratica fa diffondere la parola della verità. I mezzi attraverso i quali la luce viene comunicata al mondo sono: una vita coerente, una condotta santa, una ferma integrità, uno spirito attivo e benevolo, un esempio di pietà. |
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La Pasqua (in ebraico Pesah) significa passaggio ed è una festa primaverile che ricorre, secondo l’indicazione biblica, il 15 di Nisan dopo un digiuno di sette giorni in Israele, e otto nella diaspora. La festa ricorda l’esodo dall’Egitto (Esodo 34:25). Era chiamata in due modi: hag ha-Pesah (festa di Pasqua) perché Dio passò e protesse le case dei figli d’Israele (Esodo 12:23); e hag ha-Mazzot (festa degli Azzimi) perché non si mangiava pane senza lievito (Esodo 23:15; Levitico 23:6; Deuteronomio 16:16). La sera del 14 di Nisan veniva immolato l’agnello pasquale, arrostito per intero e consumato in famiglia. Il seder (ordine) della Pasqua è basato sulla responsabilità dei genitori nel trasmettere ai propri figli le ragioni della festa: “In quel giorno tu spiegherai questo a tuo figlio, dicendo: ‘Si fa così a motivo di quello che il Signore fece per me quando uscii dall’Egitto’” (Esodo 13:8).
Nel suo significato sociale, indica un cambiamento da una condizione a un’altra. Dalla schiavitù implicante una dipendenza totalitaria, quella egiziana, alla liberazione. Nel suo significato psicologico, indica un cambiamento di mentalità, del modo di pensare in rapporto a Dio, a se stessi, al prossimo e alla vita in generale. Pasqua è dunque un “passare oltre” o un “andare oltre” la visione che si ha di se stessi, del prossimo e della vita. Liberarsi dai tabù, dagli handicap psicologici e librarsi verso una nuova vita. Pasqua è un risorgere a nuova vita.
Nel suo significato spirituale, indica un cambiamento religioso, un passaggio implicante un atto di adorazione rivolto a Dio. Pasqua è trascendere se stesso e dare un senso alla vita a partire da Cristo il risorto. Tutti questi aspetti legati alla Pasqua li troviamo nel rito della santa Cena, perché secondo l’apostolo Paolo “la nostra Pasqua è Cristo (1 Corinzi 5:7-8).
Nella medesima lettera l’apostolo scrive che, celebrando la santa Cena, il credente rievoca da una parte l’esperienza della salvezza, cioè un richiamo a un fatto storico, salvifico, liberatorio e cruento: la morte di Cristo. Dall’altra, volge lo sguardo verso il futuro: la beata speranza del ritorno di Cristo (Matteo 26:29). Paolo conclude il suo riassunto della Cena del Signore con l'affermazione: "Perché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1 Corinzi 11:26; cfr. vv 23-27).
La Cena del Signore ci ricorda la gioia della comunione personale con Cristo che ci attende quando il regno di Dio sarà pienamente stabilito. Esso intensifica il nostro desiderio di vivere questa esperienza. Risveglia anche il senso di dipendenza da Gesù qui e ora. Il simbolismo del servizio di comunione fa pensare al fatto che dipendiamo da Cristo, per la vita spirituale, così come dipendiamo dal cibo e dalla bevanda, per quella fisica. Mangiare e bere durante la Cena del Signore, ci rende vivamente coscienti di ciò. Ci aiuta a comprendere l'importanza di un rapporto profondo e costante con Gesù.
Pensaci. Grazia e santificazione |
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L’opera della grazia non significa solo perdono dei nostri peccati, comprende anche la santificazione. Santificare vuol dire rendere santi, purificare, consacrare. È l’opera di Dio che purifica un credente dandogli una vita santa. Quella stessa grazia che porta salvezza, santifica la nostra natura, facendo di noi un popolo particolare, desideroso di fare la volontà di Dio nell’attesa dell’apparizione del nostro Signore Cristo Gesù. È proprio questo il contenuto di Tito 2:11-14.
Quando un peccatore risponde all’amore di Gesù e lo accetta come suo personale Salvatore, Gesù lo accoglie proprio così com’è, cioè pieno di iniquità (Romani 5:8). Lo perdona, lo riveste della sua giustizia e lo presenta a Dio come suo figlio (Efesi 1:7). Ci presentiamo davanti a Dio e lui ci accetta per mezzo del sangue e della giustizia di Gesù, offrendoci la vita eterna (Giovanni 3:16). Riceviamo lo Spirito Santo come presenza costante che ci aiuta a vivere come figli della luce e ci rende adatti al cielo e all’eternità (Galati 4:6).
Mi piace illustrare la connessione tra grazia e trasformazione con l’immagine di una bicicletta. Una bici ha due ruote. Se le separiamo non abbiamo più una bicicletta, ma è comunque importante distinguere la differenza tra le ruote. Una dà la direzione, l’altra il movimento. Entrambe sono ugualmente importanti e necessarie. Anche la salvezza si compone di due parti: la grazia e la trasformazione. Entrambe sono necessarie per il cielo e, se le separiamo, non abbiamo più la salvezza. Ma, proprio come per la bicicletta, è vitale distinguerne le loro insostituibili funzioni. La grazia è ciò che ci salva e proviene completamente da Dio. È qualcosa che non abbiamo e che ci viene data gratuitamente quando confidiamo in Gesù. La trasformazione inizia al momento in cui riceviamo la grazia ed è un processo che avviene dentro di noi. Per essere certi della nostra salvezz a guardiamo sempre alla grazia, ma siamo contemporaneamente consapevoli che stiamo migliorando nel nostro atteggiamento di obbedienza a Dio. Se cooperiamo con Dio, egli ci trasforma a sua immagine.
“Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna” (Romani 6:22).
Che cos’è la grazia? |
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La grazia inizia con l’accettazione. “Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” (Romani 15:7). Che cosa dobbiamo fare perché Cristo ci accetti? Nulla! Paolo ci dice che “Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8). Cristo non aspetta che diveniamo buoni per accoglierci. La Bibbia è chiara nel dire che nessuno è o diverrà mai buono abbastanza (Romani 3:10-12,23). E se nessuno è buono abbastanza e non c’è nulla che possiamo fare per essere amati da Dio, come saremo salvati? “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato” (Atti 16:30,31). Credere in Gesù significa avere la consapevolezza della nostra condizione di impotenza, per cui non c’è nulla che possiamo fare per raggiungere il cielo. Tu comprendi di essere colpevole e meritevole di morte, ma sei anche dispiaciuto per la tua vita nel peccato. Così riponi tutta la tua fiducia in Gesù e accetti come tua la vita perfetta che Gesù ha vissuto; in questo modo non dipendi più da te stesso ma da Gesù. Quando Dio ti dà la sua grazia, il suo perdono, non si aspetta che tu continui a vivere come hai sempre fatto. La tua resa a lui gli permette di fare intervenire lo Spirito Santo nella tua vita. Ti trasforma in modo che desideri fare del bene. Desideri seguire i comandamenti di Cristo perché lo ami (Giovanni 14:15). Ecco perché l’apostolo Paolo disse che Dio lo aveva incaricato di ottenere “l’ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri” (Romani 1:5).
Quando accetterai Cristo la tua vita cambierà. Dio ti accetta sempre per quello che sei, ma non ti lascia mai là dove sei. Quando accogli il benevolo dono della salvezza, egli mette a tua disposizione tutte le risorse del cielo perché tu possa crescere e divenire più simile a Gesù. “E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito” (2Corinzi 3:18). |
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Pensaci. Testimone della grazia |
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Naaman, un grande capo militare, è affetto da una malattia ripugnante che non riesce a curare in alcun modo. Ma, una piccola serva, una ragazzina, fatta prigioniera dalle sue truppe vittoriose, sa che può ricevere aiuto dal profeta (2 Re 5:2-4). Quale straordinaria fiducia manifestò questa ragazzina nel potere del suo Dio, anche dopo essere stata fatta prigioniera dagli invasori siri. Episodio che avrebbe potuto fare nascere in lei molti dubbi sulla potenza e forse anche sull’esistenza del Dio che serviva! C’erano dei rischi nel consiglio della piccola serva? Immagina che, dopo essersi umiliato per cercare aiuto in un Dio straniero, Naaman non fosse stato guarito: come avrebbe reagito verso la ragazzina che lo aveva malamente consigliato? La piccola serva non solo rese la sua testimonianza a Naaman e alle sue truppe, ma rimane ancora oggi il simbolo di coloro che restano fedeli e fiduciosi anche di fronte alle avversità più estreme. “In un solo giorno, la fanciulla aveva perso la casa, il papà e la mamma, i fratelli e le sorelle, e tutte quelle cose che avevano arricchito la sua vita. E, come somma di tutte le sue pene, aveva perso anche la libertà... Ma anche se aveva perso tutte le cose esteriori che possedeva, c’erano altri tesori che portava con sé. C’erano dei valori, grazie a Dio, che la forza e la violenza fisica non possono toccare. La vita può esporci a situazioni dure e terribili... Ma lei sapeva, per esperienza, che c’era qualcosa di diverso e di meglio: sapeva che vi sono dei tesori di cui nessuna forza, per quanto grande e crudele, potrà mai privarci”, scrive Covis G. Chappell nel libro Feminine Faces. In qualche modo, anche in mezzo all’avversità, questa ragazza, di cui la Bibbia non riporta neppure il nome, fece sua la fede nella quale era stata educata. Anche se sappiamo poco di lei, quali fattori pensi che abbiano avuto un ruolo nella formazione della sua personalità? Come è riuscita, nonostante le situazioni esterne avverse, a conservare la sua fede e a darne una straordinaria testimonianza? |
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